La Villa e la sua storia

Villa Peyron”, nota anche come “Bosco di Fonte Lucente”, venne acquistata da Angelo Peyron il 14 Aprile 1914 prendendo il nome dal suo ultimo proprietario Paolo Peyron (Firenze 13 giugno 1911 – Fiesole 14 febbraio 2003), il più piccolo di quattro figli. Suo padre Angelo Peyron – industriale e commerciante di origine torinese (la famiglia Peyron, a Firenze dal 1865, era originaria della Savoia) – aveva un importante e redditizia industria tessile.

Sua madre Adele Fumagalli era figlia del ricco industriale milanese che aveva fondato il famoso Linificio e Canapificio nazionale. La Villa, il cui profilo si trova indicato nelle “Mappe dei Capitani di Parte Guelfa” (elaborate fra il 1580 e il 1595), era denominata “Bosco” e apparve citata per la prima volta nel “Planetario Geometrico Catastale del Territorio Comunicativo di Fiesole” del 1864 come proprietà Bianchi. Dai dati Ottocenteschi risulta che la Villa fosse circondata su tre lati da bosco ceduo: destinazione colturale che sicuramente si perpetuava dall’antichità e che era valsa al luogo appunto il toponimo di “Bosco”. Angelo Peyron, appena acquistata la proprietà, avviò lavori di ampliamento della Villa seguendo il progetto dell’arch. ed ing. Ugo Giovannozzi, seguendo lo stile tipico neoclassico del periodo e facendola rivestire esternamente con lastre di pietra forte, macigno di calcare arenaceo reperito nella stessa proprietà. La facciata con l’ingresso principale in origine era quella a mezzogiorno, verso Firenze.

Alla casa si accedeva infatti dalla strada dei Bosconi/Baccano, attualmente divenuta un viottolo a valle della Villa, che dalla casa colonica Le Querce e Le Caselle arrivava fino alla cappella di Castel di Poggio. Nel dicembre 1919 Angelo Peyron morì prematuramente lasciando in eredità vari beni fra i quali anche l’amata casa sulla collina di Fiesole dove aveva pensato di ritirarsi per trascorrervi la vecchiaia. Paolo Peyron, che allora aveva solo otto anni, sembrava essere l’unico interessato alla villa Fiesolana. In attesa che raggiungesse la maggiore età la madre, tutrice di Paolo Peyron, pensò di affittare la villa del Bosco di Fontelucente. Nonostante le numerose offerte di acquisto la villa non fu venduta solo grazie alla tenacia di Paolo Peyron e grazie anche ai consigli della professoressa Ines Julia Zanaga (nobildonna d’origine spagnola), richiesta a Stefano Bardini per insegnare le buone maniere alla sorella di Paolo, Emilia Peyron e, successivamente finì ad educare ed istruire Paolo.

Nel 1932, ormai maggiorenne, Paolo Peyron entrò ufficialmente in possesso di villa il Bosco di Fonte Lucente, trasferendosi definitivamente nel 1936, ed occupandosi di impreziosirla facendone una sorta di santuario delle numerose collezioni. L’amore per gli oggetti d’arte e le cose antiche gli fu trasmesso dalla madrina e professoressa Zanaga, che essendo stata allevata a contatto con la famiglia del famoso antiquario Stefano Bardini , ebbe la possibilità di vivere in un ambiente ricco di stimoli artistici e la conoscenza di tutti gli antiquari di Firenze facilitò i contatti di Paolo Peyron con quel mondo, favorendo in lui lo sviluppo di una grande passione per il collezionismo, già ereditata dal proprio padre. Durante la seconda Guerra Mondiale la villa venne requisita e scelta per dare ospitalità ad un alto comando tedesco. Successivamente venne occupata dagli Alleati che vi collocarono anche un ospedale militare. Al ritorno di Paolo Peyron lo “scenario” si presentava assai disastroso: tutti gli oggetti che Paolo Peyron aveva tentato di salvare nascondendoli in una stanza della colonica, furono distrutti e sparsi nel giardino. Quadri e cornici dorate attaccate agli ulivi, mobili sfasciati, i libri preziosi, gli incunaboli e le stampe del Piranesi, ereditati dalla biblioteca del padre, giacevano per terra all’aperto irrimediabilmente sciupati dalla pioggia.

Da allora l’unico intento del proprietario fu quello di riportare la Villa e il Giardino del Bosco di Fonte Lucente al suo originario splendore, recuperando nel tempo anche molti oggetti d’arte familiari e arricchendo le tante collezioni oggi presenti e fra le quali si citano i “vetri”, gli orologi e le ceramiche. Internamente non vennero fatte modifiche e ancora oggi i soffitti sono quelli originali decorati con affreschi dell’Ottocento e con vetrate istoriate rappresentanti il sistema solare e i segni zodiacali, così come originali del periodo di costruzione della Villa sono il preziosissimo ballatoio in legno pitch pine del salone. Sull’architrave della porta posta a mezzogiorno, Paolo Peyron fece incidere un motto ispirato a quello della porta Camollia di Siena: “Cor magis tibi Paulus pandit” (Paolo più che la porta ti apre il cuore). Dopo la guerra fece aprire un nuovo ingresso sulla facciata Settentrionale e fu costretto ad apportare ristrutturazioni interne negli ambienti danneggiati e commissionò i lavori al pittore Gino Pebre ed i soffitti vennero riportati al loro antico splendore. I segni di una ricostruzione dura e faticosa, realizzata con profondo amore per questo posto, si possono percepire ancora oggi nel Giardino: capolavoro indiscusso dell’opera di un semplice e meraviglioso personaggio.

Attraverso un recente restauro gli interni sono stati riorganizzati a fini museali di “Casa da Signore” per mostrare lo stile di vita del Novecento, mantenendo inalterati spirito e carattere degli arredi e degli oggetti ivi presenti. Nel corso del restauro effettuato è stato recuperato un ampio spazio al di sotto dell’ampia Terrazza adibito a luogo polivalente per convegni, eventi e momenti artistici (musica e recitazione).

La storia recente ed il nome attuale sono legati strettamente alla Famiglia Peyron. Questi, di origine piemontese, si trasferirono a Firenze da Cesana Torinese (TO) nel 1865. Qui avviarono fiorenti affari commerciali nel settore dei tessuti e tappeti fino alla fondazione del complesso industriale “Lanificio Val di Bisenzio” nell’anno 1896 a Mercatale di Vernio, 20 Km da Prato, ove si fabbricava ogni sorta di coperte e tappeti. L’opera del Lanificio raccolse crediti dalla Casa Savoia, dallo Stato Vaticano e dal Sultanato turco.

In seguito alla morte del cavaliere Angelo Peyron (Torino 1864-Roma 1919) la proprietà di Villa Peyron passò alla moglie Adele e ai figli Mario, Guido, Emilia e Paolo. In seguito ad accordi la villa venne assegnata a Paolo (Firenze 1911 – Fiesole 2003), all’epoca era minorenne, che solo nel 1931 vi andò ad abitare.

Cosa aveva acquistato nel 1914 Angelo Peyron dai fratello Bigini di Pistoia? Una villa arredata, alcune case coloniche e terreni boscati.
Angelo Peyron incaricò Ugo Giovannozzi (Firenze 1876-1957) – ingegnere e architetto, allievo di Riccardo Mozzanti, della trasformazione della Villa.
Villa Peyron, caratterizzata da un forte eclettismo ispirato allo storicismo dominante all’epoca con elementi desunti dall’architettura romanica toscana ed interamente rivestita di pietra forte proveniente dalla zona, è composta da un blocco parallelepipedo e da una larga torretta accostata sul lato ovest, ed è interamente rivestita da un filaretto di pietra forte. La facciata, al visitatore che arriva dal viale d’ingresso, si presenta severa, scandita da un marcapiano e ingentilita solo dagli archetti su beccatelli che riprendono le soluzioni architettoniche delle fortificazioni medievali.

Sempre ad Angelo Peyron si deve l’acquisto dell’antica sorgente di Fontelucente, fonte naturale appartenuta alle suore Mantellate e già documentata nelle cronache del Cinquecento immersa nel rigoglioso bosco, e la realizzazione intorno al 1915 di un’imponente opera, descritta come “faraonica”, che consentì di portare l’acqua alla Villa Peyron, trasferendola attraversando la collina che la separava dalla sorgente, grazie alla costruzione di una galleria voltata molto ampia. Tale opera rappresenta l’unica fonte d’approvvigionamento idrico per le abitazioni e consente il funzionamento delle numerosissime fontane presenti nel Giardino e nel Parco oltre ad alimentare il Lago.

La viabilità della zona è di origine antica e la pianta dei “Capitani di Parte Guelfa”, risalente al 1580 circa, riproduce fedelmente i tracciati viari: dall’osteria di Baccano si staccava la via di Cucina, che arrivava a più bassa quota di Villa Peyron, raggiungendo Castel di Poggio. In seguito venne trasferita nell’attuale posizione e oggi è denominata via di Vincigliata.

Il toponimo che indicava la Villa ancora alla metà dell’Ottocento era tuttavia Bosco: densamente boscata era infatti la zona circostante e le particelle catastali contrassegnate dalla presenza di bosco superano grandemente quelle coltivate con olivi come si desume dai catasti ottocenteschi.
La Villa era il risultato di una trasformazione, forse operata nella prima metà dell’Ottocento, di un edificio più antico del quale si individuano ancora tratti di massicci muri in pietra. Tutta l’area era stata abitata sino dall’antichità come fanno presupporre i toponimi:

  • mons Fanum (monte sacro);
  • Fiano nome dato alla zona nei pressi della Villa;
  • Baccano, da Bacco.

E’ interessante ricordare un passo di un testo del 1800 dove si descrive la presenza nella zona di un rudere presumibilmente medievale “ Prima dell’Osteria di Baccano un torso di torre rovinata, si dice che all’intorno vi fosse un tempio dedicato a Bacco”.

La proprietà intera, estesa per oltre 40 ettari di superficie, fu donata il 29 dicembre 1998 dal proprietario Paolo Peyron alla “Fondazione Parchi Monumentali Bardini e Peyron”, promossa e sostenuta dall’Ente Cassa di Risparmio di Firenze, già dedita al restauro del  Giardino Bardini in Firenze, al fine di trasmetterla integra alle future generazioni.
Solo dall’anno 2002 la Fondazione ha iniziato la gestione totale sulla proprietà essendosi riservato tale diritto il donatore, Paolo Peyron.

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Villa Peyron