Storia e restauro

Villa Bardini

lastoria_villabardini

La Villa fu costruita nel 1641 su di una preesistenza di impianto medievale dall’architetto Gherardo Silvani (1579-1675) per il suo amico Francesco Manadori (1577-1656), da cui il nome di Villa Manadora. La splendida posizione panoramica fece attribuire alla costruzione anche la denominazione di Villa Belvedere: un edificio che ricorda i “Casini di Delizia” diffusi a Firenze tra la fine del Cinquecento e la prima metà del Seicento, nati per la delizia dei signori e circondati da coltivazioni agricole con fini non solo produttivi, ma anche ornamentali.

La Villa Belvedere appartenne in seguito alla famiglia Cambiagi e poi, all’inizio dell’Ottocento, a Luigi Le Blanc e a suo figlio Giacomo. Nel 1839, in seguito alla riunificazione di tutta la proprietà, pervenne alla famiglia Mozzi per passare successivamente, con tutto il complesso, alla famiglia Carolath von Beuthen dopo il 1880 e quindi, nel 1913, a Stefano Bardini.

Il nucleo originario della Villa aveva una struttura semplice, con una pianta rettangolare di dimensioni ridotte (mt 10×25) sviluppata su tre piani di altezze diverse, tra i quali un attico con una serie di aperture circolari. Tale edificio fu oggetto di successivi interventi di ampliamento nel corso dell’800 e, nei primi anni del ‘900 l’intera Villa fu sopraelevata di un piano dall’antiquario fiorentino Stefano Bardini.

La famiglia Bardini vi abitò per anni ed ora dopo un lungo e complicato iter burocratico amministrativo iniziato nel 1965 dopo la morte del figlio di Stefano Bardini, Ugo, e un lungo e minuzioso restauro, finalmente viene aperta al pubblico.

restauro_bardini1Dopo decenni di abbandono e degrado, la Villa Bardini è stata finalmente restaurata e aperta al pubblico grazie all’impegno economico sostenuto dall’Ente Cassa di Risparmio di Firenze, attraverso la Fondazione Parchi Monumentali Bardini e Peyron. L’esecuzione dei lavori al Parco e alla Villa è stata di tutto rilievo: gli interventi si sono sviluppati per un periodo di tempo di oltre 5 anni ed il loro importo economico ha superato complessivamente i dodici milioni di euro.

Le operazioni di ristrutturazione che hanno interessato la Villa sono state di tipo conservativo e hanno tenuto conto dei sette secoli di storia fiorentina raccontati dalle consistenti tracce monumentali rinvenute: i resti di una casa medievale, al di sotto dell’attuale sala convegni, i segni di una struttura tardo rinascimentale detta “casa del contadino”, attuale ristorante, il corpo seicentesco della Villa Belvedere, e quindi la sopraelevazione dell’edificio voluta all’inizio del ‘900 da Stefano Bardini.

villa_dopo_restuaroIl restauro ha riportato all’antico splendore anche gli apparati ornamentali, privilegiando la fase ottocentesca con l’obiettivo di ridare unitarietà alle decorazioni presenti al pian terreno, quali ad esempio le cornici e i riquadri lungo le scale dell’ingresso di Costa S. Giorgio, gli stucchi e le riquadrature dipinte nella sala col caminetto, il pavimento in “terrazzo veneziano” ossia in mosaico di marmi gettati in opera, i capitelli e le basi delle colonne tuscaniche del porticato sul cortile del ristorante, e ancora una vera da pozzo in pietra arenaria che si trova nel medesimo porticato.

Giardino Bardini

storia_giardino_1La storia del Giardino Bardini è la storia di una parte di Firenze: quattro ettari di bosco, giardino e orto frutteto a contatto con le mura medievali della città, tra Costa San Giorgio e Borgo San Niccolò.

La prima fase storica dell’area verde Bardini risale all’età medievale e vede protagonista la ricchissima famigliaMozzi la quale, già nel Duecento, era proprietaria di numerose case e terreni tra cui la cosiddetta “collina di Montecuccoli”, dove si estende attualmente il Giardino.

Agli inizi del Trecento, con il tracollo economico della famiglia, i possedimenti vennero acquistati dal Comune di Firenze, per poi ritornare nelle mani dei Mozzi nel 1591.A quel tempo il complesso era costituito dal palazzo principale dotato di una loggia e da un giardino murato retrostante l’edificio (hortus conclusus) e confinante con un’area scoscesa strutturata in terrazzamenti di tipo agricolo. Tale struttura persiste nel Quattrocento e nelCinquecento, come documentano le vedute prospettiche del tempo.

Nel Seicento l’area oggi occupata dal giardino Bardini è suddivisa in due proprietà: ai Mozzi la parte Est e a Giovan Francesco Manadori la parte ovest, dove viene fatta costruire per opera dell’architetto Gherardo Silvani la Villa Manadora, edificio che già all’epoca veniva ammirato per la straordinaria vista sulla città.

Nel Settecento tale proprietà viene venduta dagli eredi del Manadori alla famiglia Cambiagi per poi passare all’inizio dell’ ottocento a Luigi Le Blanc e a suo figlio Giacomo. I due possedimenti vengono gradualmente abbelliti, sfruttando la posizione panoramica del luogo. Giulio Mozzi, grande appassionato di giardini, contribuisce alla nuova decorazione della scalinata che viene arricchita dai fondali a mosaico con fontane e dalle statue in arenaria di personaggi in costumi campestri, ancora oggi presenti.

All’inizio dell’Ottocento la proprietà e la struttura del giardino sono ancora frazionate. I Mozzi possiedono la parte centrale dell’area, ovvero la grande scalinata con il prato antistante e la parte agricola. Luigi Le Blanc  possiede la parte a bosco, da lui trasformata in un moderno giardino anglo-cinese, e la Villa, detta all’epoca “del Belvedere,” arricchita dal nuovo giardino con un lago, una cascata e una fontana. Risale a questo periodo anche la Kaffehaus, con sala circolare e grotta sottostante(ancora esistente), gemellata con un’analoga struttura nella parte di proprietà dei Mozzi.
Nel 1839 le due proprietà vengono unite con l’acquisto da parte della famiglia Mozzi della proprietà Le Blanc. Tuttavia, nel corso del secolo, la proprietà incorse in un inesorabile declino, a causa delle difficoltà economiche della famiglia. Nel 1880 il complesso, ormai in stato di abbandono, viene espropriato all’ultimo erede della famiglia Mozzi e acquistato dai principi Carolath von Beuthen, che ne saranno proprietari fino al 1913,  dotando il giardino di elementi di gusto vittoriano.

Agli inizi del Novecento avviene quindi il passaggio della proprietà dalla famiglia von Beuthen a Stefano Bardini che, subito dopo l’acquisto, rinnova l’intero complesso per adeguarlo alle proprie esigenze di rappresentanza e lo utilizza come uno spettacolare “showroom” all’aperto,  conferendogli uno stile ancora più eclettico di quanto già non avesse.

storia_giardino2Il giardino, arricchito da elementi decorativi di varia provenienza assemblati col gusto tipico del collezionista che nulla esclude, diventa così un labirinto di tranelli per il conoscitore d’arte che stenta a riconoscere i materiali veri da quelli falsificati, i rimontaggi con inserimenti moderni dalle opere autentiche.

La costruzione di un viale per raggiungere la villa e la conseguente demolizione dei giardini murati, l’accorpamento degli edifici sulla costa S.Giorgio e la costruzione di una loggia sul Belvedere, inserita tra i due padiglioni dell’antica Kaffehaus, sono alcune tra le modifiche più evidenti volute dall’antiquario Bardini, in quella che fu la stagione più intensa del giardino.

Nel 1965, con la morte del figlio di Stefano Bardini, Ugo, ha inizio un lungo e complicato iter burocratico sull’eredità, conclusosi solo nel 2000 con l’interessamento dell’Ente Cassa di Risparmio di Firenze, attraverso la Fondazione Parchi Monumentali Bardini Peyron, che gestisce attualmente la proprietà.

Oggi  il Giardino Bardini, dopo quasi cinque anni di minuzioso restauro, riapre finalmente i suoi cancelli, riportando alla luce un importante percorso storico che ritrae l’interessante complesso nelle fasi e nelle trasformazioni subite nel tempo.

Il restauro

Conservazione e cambiamento: questi sono i principi che hanno orientato l’intero percorso del restauro del Giardino Bardini, iniziato nel Duemila e durato quasi cinque anni.  Esso, infatti, è stato impostato sulle seguenti linee guida:

  • conservare tutto quanto esisteva nell’area, comprese le ultime modificazioni dovute agli interventi di Stefano e Ugo Bardini;
  • trasformare il giardino in un nuovo giardino aperto al pubblico, ma sempre nel rispetto delle funzioni che aveva in passato e della storicità del luogo;
  • creare ulteriori elementi di interesse introducendo nuove tipologie legate all’arte dei giardini e le relative nuove piantagioni, conservando il più possibile la diversità ambientale e rispettando criteri ideologici nell’utilizzo delle risorse.

Il  “Giardino dei tre giardini”, secondo la definizione data da Stefano Bardini, con il boscoall’inglese, la scalinata barocca e il parco agricolo, si configura come eclettica stratigrafia di usi e gusti, di mode e utilizzi.  Circa duecento i pezzi tra le statue e i vasi censiti che, con le piccole architetture, fontane e arredi lapidei presenti nel giardino, sono stati restaurati e sono oggi mirabili.

Il restauro del bosco all’inglese si è basato sulla campagna di scavi archeologici condotta nell’inverno 2001-2002 che ha messo in luce un ampio tratto del canale che attraversava la parte sommitale del giardino e che ha consentito di interpretare il giardino come raro esempio  di giardino anglo-cinese, un giardino con elementi esotici (come il drago che rimane a memoria di questa fase) nel quale l’acqua  aveva un ruolo dominante. La parte meglio conservata del canale è stata restaurata ricreando le cascatelle e i giochi d’acqua originali.

Gran parte del sottobosco è stata ripiantata con l’intenzione di creare un sottobosco più variato, composto da vari arbusti sempreverdi e spoglianti, con macchie di colore formate da arbusti anche in collezione, (come la collezione di viburni),  nei punti di particolare suggestione. Le piante d’alto fusto sono state tutte censite e alcune che si sono rivelate instabili ad una approfondita analisi, sono state sostituite con piante della medesima specie aggiungendo anche alcune specie che presumibilmente erano presenti nel giardino agli inizi dell’Ottocento.

La scalinata barocca si presentava totalmente ricoperta di vegetazione, e i muri a retta erano in gran parte dissestati. L’interpretazione delle poche fonti documentarie a disposizione, il lungo lavoro di pulizia della vegetazione e l’attento rilievo di tutte le preesistenze e degli arredi rimasti in frammenti sul posto, hanno restituito alla scalinata il suo originario valore e l’antica configurazione architettonica e decorativa. Sono state recuperate, ad esempio, alcune statue e anche una delle vasche in pietra arenaria in forma di conchiglia che decoravano il muro fontana.

Sempre grazie alla documentazione fotografica analizzata è stato possibile ricostruire la precedente vegetazione con  il bordo di iris ed i cordoni orizzontali di rose, mentre nella parte inferiore sono state introdotte delle bordure erbacee con insoliti accostamenti e scelte cromatiche per creare un ulteriore interesse botanico intorno al giardino. Di  grande interesse sono stati anche i restauri delle architetture da giardino della scalinata  quali i fondali decorati a mosaico e le due statue in muratura, i busti in pietra spugna e la grotticina ai piedi della scalinata, riportati alla bellezza del Seicento e Settecento.

Il parco agricolo era la parte del giardino più compromessa. La pulizia delle piante infestanti ha condotto al ritrovamento dei terrazzamenti in terra che sono stati conservati e sui quali è stato piantato un nuovo frutteto e dai rovi sono emersi anche la panca in muratura del ‘rondò belvedere’, col preziose disegno a treillage, e la ‘nicchia delle erme’ che sottolineava il punto della cerniera dei due viali a zig zag: questi elementi  sono stati oggetto di un accurato restauro che ha riportato in luce tutti i minimi dettagli della decorazione originale.

In questa parte del giardino sono stati introdotti anche due nuovi elementi: il teatro in terra e il pergolato dei glicini, che si ispira ai camminamenti coperti dei giardini  rinascimentali , come ad esempio  le cerchiate di lecci di Boboli.
Al tempo stesso sono state introdotte nuove collezioni di piante, in particolare un giardino di peonie nella parte bassa del giardino e nell’oliveta è stato piantato il primo nucleo della collezione di rose che sarà realizzata negli anni futuri.

La rinascita del Giardino Bardini rappresenta contemporaneamente il punto di arrivo di questo processo di restauro e l’inizio della vita futura di un patrimonio che è una parte della città di Firenze, un luogo emblematico nel quale lo scambio tra l’uomo e la natura nei secoli è stato particolarmente significativo. Il restauro si inserisce in questa storia e rappresenta dunque l’anello di congiunzione tra passato che affonda le radici nella storia della città ed un futuro che vede il giardino proiettato in una dimensione pubblica ed internazionale.