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Luis Molina-Pantin

13:13 19 Giugno in Mostre

Luis Molina-Pantin

Luis Molina-Pantin 
25 giugno – 28 settembre 2008

Villa Bardini
Costa S. Giorgio, 2 e 6a

ingresso: gratuito
orario: giugno-agosto 8.15-19.30; settembre 8.15-18.30 (giugno-settembre fino alle ore 22 accesso da Costa San Giorgio, 6a)

informazioni: tel. +39 055 2613289

Per la prima volta a Firenze vengono esposte le fotografie dell’artista venezuelano Luis Molina- Pantin. Una selezione di lavori – New landscapes, Chelsea Galleries e Studio informale sull’architettura ibrida, Vol. I. La Narco-Architettura e i suoi apporti alla comunità (Calì-Bogotá, Colombia) 2004-2005 – ripercorre la ricerca di Pantin dalla fine degli anni ‘90 fino ad oggi. La ricerca che emerge dall’insieme dei lavori esposti rimanda ad un’idea di paesaggio immaginifico, metafisico, legato al ricordo, all’idea di souvenir, mettendoci di fronte alla presenza dell’assenza di un luogo, di un oggetto, di una terribile storia di sfruttamento e arricchimento tramutata in una grottesca allegoria architettonica. Pantin ci porta anche a riflettere sulla scomparsa, sulla trasmutazione, partendo dalla teoria di origine hegeliana della sovrapposizione tra soggetto ed oggetto, arrivando a Deleuze e alle sue riflessioni tra differenza e ripetizione, approdando infine a Bourriad e alla sua estetica della post produzione. La sparizione, la dissolvenza dell’oggetto, dell’opera, dell’architettura come soggetti e la loro nuova connotazione sono alla base della fotografia e della ricerca di Pantin, assieme allo spirito archivistico, creatore di campionari che suppliscono alla reale esperienza, denudando l’incapacità e l’immobilismo umano di fronte alla seduzione dell’inganno scenico.

New landscapes ci mette di fronte ad una gamma di oggetti quotidiani decorati con riproduzioni di luoghi noti e definiti, visioni immaginarie di paesaggi avventurosi o confortanti. La forza di queste immagini ironicamente evocative risiede nella rappresentazione fuori scala, monumentale, museale, di oggetti banali che sfiorano l’estetica kitsch, facendo sì che l’immagine legata al ricordo prenda il sopravvento rispetto a quella dell’oggetto, che svanisce nella sovradimensione che l’autore ha deciso di conferirgli. In questo lavoro, Pantin ci mette di fronte anche ad una modalità di affrontare, da parte dell’artista contemporaneo, i temi classici dell’arte come il paesaggio, il ritratto, la realtà, proponendoci una personale ironica e straniante percezione del ricordo, del souvenir, che persiste attraverso il possesso e la visione di un oggetto.

In Chelsea Galleries l’artista mostra l’interno degli uffici, denudato, perfettamente organizzato, a tratti omologato, un modello di riferimento, determinante, di alcune tra le più importanti e influenti gallerie d’arte contemporanea del pianeta, tutte nel quartiere di Chelsea a New York. Pantin è affascinato, ma non incantato, dall’austerità, dalla lucida organizzazione in chiave aziendalista dei luoghi della creatività, intesi anche come luoghi dove regnano le parole chiave di ordine e progresso. Le linee rigorose, la serializzazione, la ripetizione cromatica e di moduli degli archivi e biblioteche contenenti scritti, pensieri e anche contratti dei più influenti operatori del mondo dell’arte contemporanea, sembrano alludere al puritano ed etico concetto del lavoro degli americani e alle radici di quella cultura modernista tutta rigore e progresso. La sparizione dell’opera e l’apparizone di una plancia di comando degna della sede di una multinazionale alludono fortemente alla centralità della galleria nell’odierno meccanismo di scambi e rapporti tra artista, gallerista, istituzioni, collezionisti e pubblico, registrando analiticamente uno stato delle cose attuale. Questo in una contrapposizione, sia estetica sia caratteriale, alla naturale inclinazione dell’artista verso quel modernismo tropicale delle sue radici, dove le parole chiave potrebbero essere invece disordine e regresso, inteso come elemento di decadenza.

Studio informale sull’architettura ibrida, Vol. I. La Narco-architettura e i suoi apporti alla comunità (Calì-Bogotá, Colombia) 2004-2005 è una serie di immagini che ci sposta verso un altro interesse dell’artista: i fenomeni culturali legati all’architettura. Le foto sono state scattate tra il 2004 e il 2005, in particolare nel Parque Jaime Dunque, nei pressi di Bogotá, e a Calì, due luoghi tra quelli tristemente noti per essere sedi di importanti cartelli colombiani della droga.

Questa architettura ibrida, come Pantin la definisce, mostra un mix di stilemi locali con modelli occidentali e orientali, generando un pot-pourri architettonico, definibile un tempo come capriccio: mostra l’osceno gusto estetico dei signori della droga colombiani degli anni novanta.

Le scuole di architettura locale sono state in quegli anni adulterate, vittime di una variazione civica dovuta alla folle e sconsiderata ricchezza, abbinata all’arroganza e all’ignoranza dei narcos. Nessuna presenza umana in queste immagini di Pantin; gli abitanti scomparsi e lo sguardo distaccato dell’artista che non giudica, non commenta e non documenta, mostrano la tassonomica visione di una follia. L’artista crea di fatto un museo delle narco-architetture, pervaso da una poetica spoglia dei luoghi, che fa pensare alle piazze d’Italia di dechirichiana memoria. La visione di un Taj Mahal, o di un sinistro edificio circolare sormontato da un enorme aquila, il Marroquin, ci impongono un’estetica del kitsch che riaffiora anche da noi in edifici della cultura pop, outlet depressivi, divenuti formidabili attrazioni domenicali. Le narco-architetture sono state convertite, in parco divertimenti nel caso del Taj Mahal, in una concessionaria di macchine il Campidoglio in miniatura, in un parco divertimenti e per feste il Marroquin.

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